Attività e progetti

Referente:
Dott.ssa Francesca Sorbera
sorberafrancesca@gmail.com

 

Lo sguardo restituito

Da sempre ogni uomo ha avuto bisogno di potersi orientare nell’esistenza: sapere perché si esiste è ciò che può dare senso alla propria vita, permettendo di assumere compiti, di assolvere impegni, di attribuire significati nuovi per riconfigurare il vissuto personale. In questo risiede uno dei compiti più antichi della filosofia che si fa pratica nell’educare alla domanda di senso, recuperando spazi all’interno dei quali poter instaurare di nuovo un dialogo con la propria interiorità.

L’attività di consulenza filosofica che viene condotta da anni presso i Centri per il trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare (Palazzo Francisci e Il Nido delle Rondini – Todi) nasce proprio con l’intento di recuperare questo compito originario: la sapienza filosofica si fa relazione d’aiuto per accompagnare la persona nell’attribuzione di una configurazione altra al tema del dolore, a partire dal contatto con la sofferenza, quale dimensione esistenziale ineludibile che, prima di divenire disturbo, sintomo, appartiene ad ogni uomo.

Se l’esistenza rimane un compito, nel disturbo alimentare il sintomo diviene il luogo in cui sperimentare tutte le emozioni, la misura con cui considerare il proprio esistere: la filosofia, intesa non come un sapere del soggetto su se stesso, ma da viversi come esercizio e cura, offre un’opportunità per riappropriarsi di quella intenzionalità che può farsi progetto e senso del vivere.

Le attività, proposte in setting di gruppo con cadenza settimanale, mediante un intervento dialogico e maieutico, permettono l’instaurarsi di una relazione all’interno della quale tornare a interrogarsi sugli scopi e i valori personali e, al contempo, sperimentare il ritrovato contatto con la dimensione emotiva, con i bisogni e i desideri, con l’obiettivo di scoprire o ri-scoprire una propria visione del mondo.

“Nello sguardo restituito – scriveva il filosofo Romano Guardini – il volto si apre e nasce allora quel rapporto in cui gli occhi si guardano negli occhi”: rivolgere l’attenzione alla domanda di senso è già di per sé un nuovo senso che permette di guardare in modo diverso non solo al mondo che ci circonda ma anche a quello interiore, nella misura in cui nella filosofia è riposta la possibilità di dare un senso al proprio essere al mondo, da rintracciare in un rinnovato patto d’alleanza pedagogica ed etica tra l’uomo e la vita. Se la malattia e la sofferenza stessa tendono, infatti, all’impoverimento degli spazi di mondo, di contro, riaprirsi a un autentico e comune sentire, riapre alle infinite possibilità esistenziali.

Bibliografia:
Achenbach Gerd, La consulenza filosofica, Milano, Apogeo, 2004
Galimberti Umberto, La casa di psiche. Dalla psicoanalisi alla pratica filosofica, Milano, Feltrinelli, 2005
Pollastri Neri, Il pensiero e la vita, Milano, Apogeo, 2004
Rovatti Pier Aldo, La filosofia può curare? La consulenza filosofica in questione, Milano, Cortina, 2006
Simeone D., La consulenza educativa. Dimensione pedagogica della relazione d’aiuto, Vita e Pensiero, 2002.

 

Referenti:
Centro DCA Palazzo Francisci
Dott.ssa Raffaella Fasoli
ea.ra@libero.it
Centro diurno Il Nido delle Rondini
Dott.ssa TizianaTerzo
tiziana.terzo@outlook.it

“…E se non stai buono, – aggiunse Alice – ti faccio andare nello specchio. Ti piacerebbe di andare nello specchio? Ora, se stai attento, Frufrù, e non parli tanto, ti dirò tutta la mia idea intorno alla Casa dello Specchio. Prima di tutto, v’è la stanza che si vede attraverso lo Specchio: è precisa come il salotto dove stiamo; però tutte le cose son messe alla rovescia. Salendo su una sedia la vedo  tutta… tutta tranne la parte dietro il caminetto. Quanto mi piacerebbe veder quella parte! Chi sa se nell’inverno c’è il fuoco: se il nostro focolare non fa fumo, non s’indovina mai; ma se c’è fumo di qua, c’è fumo anche di là. Ma chi sa, può essere una finzione, per dare a credere che ci sia il fuoco anche di là. I libri, poi, somigliano ai nostri libri; ma le parole sono stampate a rovescio. Questo lo so; perchè ho tenuto un libro contro lo specchio, e nell’altra stanza ne hanno pigliato un altro”.

Alice attraverso lo specchio 
Lewis Carroll

L’utilizzo nei disturbi del comportamento alimentare della tecnica della terapia dello specchio (elaborata da Wilson e modificata da Laura Dalla Ragione), prende spunto dall’ipotesi che la preoccupazione per il peso e le forme corporee si ponga ad un livello mentale non sempre accessibile e modificabile dalle tecniche di ristrutturazione cognitiva verbale.
Nei pazienti affetti da Disturbi del Comportamento Alimentare la difficoltà a tollerare i livelli di ansia e giudizio negativo nell’esposizione del proprio corpo allo specchio è molto elevata e costituisce motivo di forte sofferenza. Contemporaneamente, come in una sorta di compulsione incontrollabile, i pazienti cercano, specchiandosi in continuazione, una conferma dall’immagine riflessa, conferma sempre negativa e dolorosa.

E’ per questo motivo che in Residenza non vi sono né bilance né specchi, per supportare sin dall’ingresso una desensibilizzazione rispetto alla propria immagine.
Da qui nasce l’idea di introdurre nel programma riabilitativo terapeutico residenziale tale tecnica che sviluppa la capacità dei pazienti di esporsi senza giudizio (Mindfullness). Il lavoro sull’immagine corporea e sulla sospensione del giudizio viene contemporaneamente sviluppato al lavoro sulla meditazione, che costituisce una sorta di preparazione all’accettazione del proprio schema corporeo.

La Terapia dello Specchio viene introdotta dopo un mese dall’ingresso in Residenza, superata cioè quella fase di ansia collegata all’inserimento in Residenza e dopo che si è ridotta  sensibilmente la dispercezione corporea.
Tale terapia non può essere applicata a tutte le pazienti ma è necessaria una attenta selezione che escluda vissuti di depersonalizzazione,  dismorfofobie, bambine in età prepubere, gravi dispercezioni.
La procedura prevede sette sedute individuali condotte in sette settimane. Durante la seduta, che dura circa circa 30 minuti, il paziente è in piedi di fronte ad uno specchio a tre ante, che consente quindi al paziente una visione globale, accanto a lui un terapeuta, che conduce la seduta. Gli viene richiesto di descrivere in modo sistematico il suo corpo senza essere giudicante.

Nel primo incontro il paziente è completamente coperto dagli indumenti, ma progressivamente gli viene richiesto di mostrare parti sempre più estese del suo corpo, fino all’ultima seduta dove  rimane solo con gli indumenti intimi. Dobbiamo  tenere conto che i pazienti provengono quasi sempre da lunghi periodi di ritiro sociale, dove l’esposizione del corpo è fonte di grossa ansia, particolarmente alcune parti che costituiscono vere e proprie zone fobiche su cui si localizza l’ossessione (fianchi, pancia, natiche).
Nel primo incontro, all’apertura dello specchio, molto spesso il paziente esprime un vissuto di estraneità, come se non si riconoscesse, in genere è molto agitato, a volte anche confuso, utilizza aggettivi estremamente negativi nella descrizione del proprio corpo, che rivede per la prima volta dopo un periodo di permanenza dentro la struttura, che comunque ha modificato le forme corporee.

Nella seconda e terza seduta inizia a familiarizzare maggiormente con lo specchio, con la sua immagine e con il suo corpo, è oramai autonomo nelle descrizioni, localizza bene le parti da descrivere e l’ansia è diminuita.
Nella sedute successive l’esposizione è effettuata con indumenti che espongono sempre di più il paziente mano a mano che l’ansia diminuisce. Queste sedute sono di enorme impatto emotivo per i pazienti, spesso piangono, a volte è necessario interrompere l’incontro e il ruolo del terapeuta diventa centrale nel cogliere il momento di rallentare o di procedere nel lavoro.

Referente:
Dott.ssa Roberta Marconi – Psicologa
marconi.roberta95@libero.it

 

All’interno del programma di Palazzo Francicsci e del Nido della Rondine dal 2019 è stata inserita l’antica tecnica del Karate.

Il karate è un’arte orientale che nasce con lo scopo di “imparare a svuotare la mente per riempirla con il nuovo”,  infatti ha alla base una precisa filosofia che enfatizza l’osservazione rispetto all’azione, l’integrazione tra corpo e mente e possiede una forte componente meditativa.

La psicoterapia congiunta alla pratica del karate può direttamente migliorare la salute mentale di un individuo in quanto favorisce il rilassamento, l’attenzione, la comunicazione e l’autoaccettazione.

Nel karate è di fondamentale importanza lavorare sull’utilizzo della corretta e funzionale respirazione diaframmatica, considerata come mezzo di ricerca per il raggiungimento dell’equilibrio tra corpo e mente e non solo. Sebbene la respirazione sia fondamentale, spesso se ne ha scarsa consapevolezza e non viene utilizzata nella sua interezza. Può considerarsi uno dei grandi ritmi che governa l’organismo insieme al battito cardiaco e mentre risulta difficile intervenire sul cuore, sulla respirazione è possibile effettuare un certo controllo. Un’emozione forte porta di conseguenza ad un’accelerazione della frequenza respiratoria e del battito cardiaco; attraverso il controllo della respirazione anche il cuore ne risentirà consentendo da un lato di attenuare l’eccessiva reazione corporea allo stimolo e dall’altro di portare l’individuo ad una maggiore consapevolezza delle proprie risorse.
Nella respirazione diaframmatica la parte centrale del movimento respiratorio si polarizza al centro del ventre considerato nelle arti orientali anche il fulcro della vita, il punto da cui si sprigiona l’energia interiore, permettendo di far circolare una maggiore quantità di ossigeno.

Nel karate è fondamentale quindi collegare le varie tecniche alla respirazione, che deve mantenersi sempre tranquilla, costante e profonda. Nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare il mezzo psico-fisico della respirazione diaframmatica permette al soggetto di identificare una sorta di mappa corporea soggettiva che si tramuta in una spinta all’autoascolto e in uno strumento di riflessione per trovare risposte sempre più appropriate per poter fronteggiare gli stimoli esterni.
Oltre a permettere alla persona di acquisire consapevolezza del proprio corpo, del suo radicamento a terra e una capacità di concentrare le proprie forze e il proprio equilibrio interiore, può portare le emozioni a evolversi in importanti mezzi di crescita interiore.

Due elementi fondamentali di lavoro nel karate sono il kata e il kumitè. Il kata può considerarsi un combattimento immaginario caratterizzato da una serie di tecniche di difesa e attacco in sequenza, contro uno o più avversari interiori intervallati dai kiai, delle urla liberatorie per caricare e scaricare energia. Ogni kata ha la propria origine, il proprio significato e dei propri spunti di lavoro. Nel trattamento dei DCA ci si sofferma su alcuni di essi sia sul piano teorico che su quello pratico. Prendendo in esame piccoli blocchi da poter effettuare sul posto, si giunge a dar vita ad un ricchissimo lavoro introspettivo. Il linguaggio non verbale diviene l’elemento cardine che permette di far fuoriuscire i pensieri più profondi dell’individuo.
Con il kumitè, nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare, ci si impegna invece a percepire e comunicare con il compagno, si dice infatti di vedere ma non guardare l’altro per non perdere mai di vista se stessi.

La pratica del karate inoltre inizia e termina con il saluto. I pazienti vengono fatti predisporre in cerchio proprio per enfatizzare la condivisione di questo momento. Le fasi del saluto sono caratterizzate da un inchino (Oss) e da un Seiza in cui ci si siede o inginocchia. In particolare, nel momento del mokuso, che prende origine dagli ideogrammi moku “silenzio” e so “pensare”, fa riferimento al prendere pienamente coscienza dei propri pensieri, desideri e aspirazioni. L’ideogramma so, infatti, contiene parti che significano “occhio” e “mente”, che messi insieme prendono il significato di “guardare nel proprio cuore”.
All’inizio del gruppo il mokuso dovrebbe servire infatti a lasciare fuori la realtà esterna chiudendo gli occhi per poi poterli riaprire con lo spirito rinnovato e pronto a percorrere la via della scoperta e accettazione di sé.

 

 

Referente
Dr.ssa Tiziana Terzo – Chinesiologa
tiziana.terzo@outlook.it

L’utilizzo dello Yoga e della meditazione in ambito DCA, riesce a fare la differenza, lavorando sull’interiorità del soggetto, così come altre attività che si mostrano da input espressivo/percettivo e che aumentino la consapevolezza nel paziente (Roff, C., 2014).

Con il termine Yoga si indicano le pratiche ascetiche e meditative intese come mezzo di realizzazione e salvezza spirituale. Discipline millenarie che coinvolgono corpo, postura, respiro e spiritualità. La corretta pratica è possibile quando corpo e psiche non sono scissi, il collante è l’energia, il canale è la respirazione, è un universo che tocca la persona nel profondo, la ingloba e al contempo la libera, conducendola verso l’unità e l’unione con se stessi. Lo Yoga implica l’imparare a conoscersi e ad ascoltarsi, valutare se e come considerare i proprio limiti e possibilità, lasciarsi andare alla saggezza del corpo e del respiro.

L’Hata Yoga, nello specifico, è la corrente più conosciuta dello Yoga, ed anche quella più utilizzata del trattamento dei DCA. Assieme a Kundalini, Raja, Laya e Mantra Yoga fa parte della corrente dello Yoga tantrico, ovvero di quella corrente che sfrutta i sensi per giungere alla realizzazione interiore.

La disciplina proposta dall’Hatha Yoga passa attraverso una serie di pose fisiche (asana), esercizi respiratori (Pranayama) e tecniche di meditazione. L’Hatha Yoga è lo Yoga che più di ogni altro agisce su un piano fisico, apportando un effetto benefico rispetto alla colonna. Migliora inoltre l’elasticità e la forza di muscoli e tendini, la densità ossea, così come la capacità di ascolto del corpo in generale. Contemporaneamente l’attenzione dedicata alla respirazione contribuisce a donare al corpo maggior vigore e un miglior stato generale di salute.

Oltre a benefici di carattere fisico l’Hatha Yoga influisce positivamente anche a livello psichico, favorendo profondi stati di rilassamento e di concentrazione.  Gli esercizi e le asana lavorano a livello delle energie sottili per sbloccare quei ristagni energetici che sono alla base delle principali malattie fisiche e psichiche.

Inoltre, secondo il complesso sistema di fisiologia energetica sviluppato dalla tradizione induista, l’assunzione delle posizioni insegnate dall’Hatha Yoga influirebbe anche sul benessere degli organi interni del corpo, sulla regolazione delle ghiandole endocrine e sul sistema nervoso, contribuendo così a creare le premesse per una salute psico-fisica generale.

Meditazione Vipassana

Vipassana nell’antica lingua indiana Pali significa “vedere le cose in profondità, come realmente sono”, “giusta conoscenza”, “intuizione”, “comprensione”. E’ una delle più antiche tecniche di meditazione dell’India, universale ed è praticabile da tutti. Fu infatti riscoperta e insegnata da Siddhatta Gotama il Buddha più di 2500 anni fa come metodo universale per uscire da ogni tipo di sofferenza. Vipassana è una tecnica pratica di auto-osservazione, un metodo scientifico che porta alla graduale purificazione della mente. Tale tecnica è detta anche meditazione di visione penetrativa (in inglese insight meditation) in quanto intende sviluppare la massima consapevolezza di tutti gli stimoli sensoriali e mentali, affinché se ne colga la reale natura. Il corpo e la mente sono il campo nel quale è possibile scoprire, con una visione attenta, la verità.

I fondamenti teorici della vipassana sono rintracciabili nel Grande discorso sui fondamenti della presenza mentale, secondo i quali la tecnica prevede i seguenti momenti:

  • Contemplazione del corpo: respiro, posizioni, azioni, parti del corpo, elementi
  • Contemplazione delle sensazioni
  • Contemplazione della mente
  • Contemplazione degli oggetti mentali: ostacoli, delle formazioni mentali, coscienza.

Riferimento alle sei basi interne e alle sei basi esterne dei sensi (occhi, orecchie, naso, lingua, corpo e mente, e le realtà esterne corrispondenti). Riferimento ai sette fattori del risveglio (presenza mentale, investigazione dei fenomeni, risveglio dell’energia, gioia, serenità, concentrazione ed equanimità).

Il protocollo di Yoga e Meditazione specifico per il trattamento di disturbi alimentari e dell’immagine corporea utilizzato a nelle strutture di Palazzo Francisci e Nido delle Rondini di Todi è composto da sessioni in cui i pazienti sono accompagnati dall’operatore verso una maggiore consapevolezza del corpo e dei suoi bisogni attraverso:

– L’uso di semplici ma efficaci “asana” (posizioni Yoga)
– Respirazione completa (toracica e addominale)
– Meditazione guidata
– Identificazione dei bisogni, obiettivi e strumenti per il benessere fisico, mentale ed emotivo.

 

Vantaggi
I vantaggi di questo protocollo, noti da anni negli Stati Uniti, sono stati testati anche in Italia grazie allo studio iniziato nel 2016 e attualmente in corso presso i centri di cura multidisciplinari di Todi, “Palazzo Francisci” e “Nido” delle Rondini “, gestiti dalla dottoressa Laura Dalla Ragione. Dopo mesi di pratica e di analisi, è stato possibile registrare risultati altamente positivi nei pazienti, dimostrati dalla somministrazione di test pre e post-trattamento.

 

Riferimenti Bibliografici

Judith Balk, MD, MPH, Melissa Gluck, MD, Lisa Bernardo, PhD, Janet Catov, PhD. (2009). The Effect of Yoga on Markers of Bone Turnover in Osteopenic Women: a Pilot Study. International  Journal of Yoga Therapy – No. 19
Michalsen A1, Grossman P, Acil A, Langhorst J, Lüdtke R, Esch T, Stefano GB, Dobos GJ. (2005). Rapid stress reduction and anxiolysis among distressed women as a consequence of a three-month intensive yoga program. Med Sci Monit. Dec;11(12):CR555-561. Epub 2005 Nov 24
Lavey, Roberta; Sherman, Tom; Mueser, Kim T.; Osborne, Donna D.; Currier, Melinda; Wolfe, Rosemarie. (2005). The Effects of Yoga on Mood in Psychiatric Inpatients. Psychiatric Rehabilitation Journal, Vol 28(4), 399-402
Jennifer J. Daubenmier. (2005). The Relationship of Yoga, Body Awareness, and Body Responsiveness to Self-Objectification and Disordered Eating. Psychology of Women Quarterly June, vol. 29 no. 2 207-219
Robin Boudette, Ph.D. (2006). Yoga in the treatment of Disordered Eating and Body image Disturbance. Journal for Treatment and Prevention of Eating Disorders, 14:1-4.
Jennifer E. McMahon. (2014). The Use of Yoga in Eating Disorder Treatment: Practitioners’ Perspectives. St. Catherine University
Rocío Guardiola Wanden-Berghe, Javier Sanz-Valero & Carmina Wanden-Berghe. (2010). The Application of Mindfulness to Eating Disorders Treatment: A Systematic Review. 20 Dec. Eating Disorders Journal
Jessalyn Klein, BA, Catherine Cook-Cottone, PhD. (2013). The Effects of Yoga on Eating Disorder Symptoms and Correlates: A Review. International Journal of Yoga Therapy — No. 23 (2)
Patricia G. Byrn. PCOM Physician Assistant Studies Student Scholarship. (2013). Is Yoga an Effective Management Strategy for Disordered Eating? A selective evidence-based Review. Philadelphia College of Osteopathic Medicine. Paper 132
T.Rain Carei, Ph.D., Amber L. Fyfe-Johnson, N.D., Cora C. Breuner, M.D., M.P.H., and Margaret A. Brown, Ph.D. (2010). Randomized Controlled Clinical Trial of Yoga in the Treatment of Eating Disorders. Journal of Adolescent Health 46 (2010) 346–351

Ultimo aggiornamento
01/08/2022
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